Il diabete non spaventa
ma uccide come i tumori
(M.M.) “La lotta al diabete comincia dalla mente” così, in altra sezione del nostro periodico “ildiabeticofelice.it” il prof. Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia, sintetizza il ruolo fondamentale della volontà del paziente nel combattere la malattia.
Sì, “combattere” perché a scorrere le cifre fornite da Arno Diabete 2017 leggiamo veri e propri numeri da “bollettino di guerra”.
Sono numeri ufficialissimi, citati in occasioni diverse sia dal prof. Purrello che dal prof. Enzo Bonora, professore di endocrinologia a Verona ed in passato presidente della stessa SID, in una intervista a Pharma TV.
La realtà – è il sottinteso dell’intervento di entrambi – è che il diabete non incute il timore di altre patologie. La convinzione diffusa è che con il diabete si possa convivere. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale aiuta validamente e generosamente a fronteggiare costi e terapie, impedendo una lucida analisi della situazione.
Che si può anche sintetizzare così: Ogni anno – lo sostiene ufficialmente l’Istat – si hanno mediamente 25mila decessi a causa del diabete direttamente. Ciò che si trascura è il numero dei decessi per affezioni tumorali, respiratorie, cardiocircolatorie, indotte dalla patologia diabetica, portando il totale molto vicino ai 130mila decessi annui. Tanti quanto quelli causati dai tumori. O quelli registrati ognuno dei cinque anni di guerra durante il secondo conflitto mondiale fra i militari italiani (circa 550mila caduti).
Ogni anno fra i quattro milioni circa di diabetici italiani si registrano 75mila infarti (uno ogni 7 minuti), 50mila ictus (uno ogni 10 minuti), 10mila amputazioni (una ogni 52 minuti).
Ogni anno 50mila diabetici sviluppano problemi seri alla vista e altri 2mila (uno ogni 4 ore) iniziano una campagna di dialisi.
“E’ impressionante osservare – sottolinea nel suo intervento il prof. Bonora – come una diagnosi di tumore comporti immediatamente per il paziente un atteggiamento di disciplina e di rispetto verso tutte le fasi della terapia. Diversamente una diagnosi di diabete non induce lo stesso atteggiamento”.
Nel caso del diabete, il fatto che si parli di una patologia che interessa e colpisce milioni di persone, centinaia di persone nel mondo, produce reazioni emotive imprevedibili.
Nel suo recente libro “I rischi della percezione”, Bobby Duffy menziona una ricerca uscita negli Stati Uniti a cura del medico Nicholas Christakis e del politologo James Fowler. “Le persone – scrivono i due ricercatori – tendono a circondarsi di individui simili a loro, e con il tempo tendono a copiarne il comportamento, persino in attività come mangiare o fare esercizio fisico. Man mano che la norma sociale si consolida, il livello medio di salute all’interno del gruppo cambia. Vogliamo essere accettati, così imitiamo la maggioranza; abbiamo il “pregiudizio del gregge”. Questo vuol dire che una persona sovrappeso o obesa abbia amici o familiari a loro volta sovrappeso o obesi. I due effetti – la negazione della realtà e la falsa convinzione di essere più normali di quanto non siamo, basata su un gruppo di riferimento falsato - si uniscono impedendoci di vedere la gravità della situazione, che di conseguenza ci preoccupa meno del dovuto”.
GRANDI SUCCESSI NEL PASSATO - Abbiamo saputo in passato affrontare malattie estremamente serie. Pensiamo alla TBC, alla poliomielite. La prima è stata affrontata radicalmente con l’istituzione di sanatori presso i quali trattenere i malati fino alla guarigione.
La polio ha trovato in Jonas Salk prima ed Albert Sabin poi due grandi ricercatori che hanno messo a punto vaccini adottati in tutto il mondo con risultati clamorosamente positivi.
Persino – molto più recentemente – le campagne antifumo hanno consentito di raggiungere risultati straordinari.
Per il diabete questa sensibilità non si è mai sviluppata. In Francia dal 2005 i distributori di bevande dolci gassate sono banditi dalle scuole; da noi si trovano ovunque.
Si potrebbero ripetere campagne di successo anche con il diabete?
Sul fronte della vita quotidiana, sottolinea Francesco Purrello, docente a Catania e presidente SID, “A parte tutto quanto facciamo sotto il profilo medico, dovremmo sperimentare anche attività collaterali. Per esempio si potrebbe provare con una detrazione fiscale sull’abbonamento a una palestra: se spendiamo tanto per affrontare le complicanze, significa che spendiamo male i nostri soldi. Dobbiamo bloccare questo aumento esponenziale di malati che sembra inevitabile ed al quale sembriamo quasi rassegnati. Invece possiano fare qualcosa e siamo pronti, come diabetologi, a offrire il nostro aiuto alle istituzioni. Ma non c’è tempo da perdere”.
Nel nord Europa, esperienze del genere hanno portato a risultati sensibili, sia per anziani che per pazienti più giovani.
Al di là delle grandi difficoltà causate da questo preoccupante “sentire comune”, la Comunità nazionale non ci abbandona. La nostra Sanità, nazionale e regionale, è estremamente prodiga di risorse a favore della popolazione colpita dal diabete. Resta da valutare se si possa spendere meglio, visto che il futuro non lascia prevedere aumenti di stanziamenti pubblici per la salute, sia per le ristrettezze dei bilanci che per le necessità diverse indotte dall’invecchiamento della popolazione. Ne parleremo in un prossimo articolo.